giovedì 7 febbraio 2019

L’incubo di Trump

C’era una volta una storia, anzi c’è, con protagonista un bambino.
Il bambino si chiama Trump.
Di nome Joshua e di cognome come l’altro, quello che in questo momento sta parlando.
Donald Trump è l’altro, e racconta una storia.
C’era una volta, quindi, la storia di un muro.
Un muro da costruire per dividere due popoli che sono lo stesso popolo e separare altrettante terre che sono il medesimo pianeta, laddove si osservino entrambe dalla giusta distanza.



Lassù, nel cielo, e quaggiù, ovvero là dentro, nella parte più lucida del nostro cuore.
Di conseguenza, c’era una volta, anzi c’è, un bambino che si chiama Trump, di nome Joshua che ascoltando la storia del muro di Trump, l’altro, quello grande, si addormenta e fa un sogno.
C’era una volta, quindi, il sogno di un bambino che si chiama anche lui Trump, ma è Joshua, non Donald, che sogna un folle dal volto impiastricciato di un arancione inquietante e il capo sormontato da un parrucchino grottesco, che pretende di esser preso sul serio parlando di spendere miliardi di dollari per costruire un muro, con cui dividere due popoli che sono lo stesso e separare nazioni che son fatte della stessa terra, allorché la si guardi dalla giusta distanza.
Lassù, con gli occhi delle sagge stelle, ovvero qua dentro, nel cuore di una storia che capirebbe anche un bambino.
Difatti, c’era una volta un uomo di cognome Trump, di nome Donald, che come un bambino prigioniero di un incubo orribile, invece di svegliarsi desidera intrappolarci con lui nel suo tremendo delirio di paura e solitudine.
C’era una volta la storia di entrambi, che finirà soltanto quando Trump, quello di nome Joshua, aprirà gli occhi e ci dirà: “State tranquilli, non c’è nulla di vero in quello che avete udito.”
È stato solo un sogno...


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venerdì 25 gennaio 2019

Grazie maltempo

Grazie, maltempo.
Noi, i 47 della nave Sea Watch 3, ti siamo infinitamente grati.
Perché è tuo, solo tuo, il merito di averci fatto entrare nelle sacre acque territoriali italiane.
Per la precisione, a non meno di 1,4 miglia dal porto di Augusta, in Sicilia, senza alcuna autorizzazione ad attraccare.
Altrimenti, Sua Intolleranza, scatenerà l’inferno al suo segnale, come il noto gladiatore del cinema.
Solo che nell’arena, a far da carne da macello ci siam noi altri, mica lui.



E allora, concentrandoci sulla metà piena del mare, rendiamo grazie al dio del clima.
Che il più delle volte ci è nemico, e con spade affilate come onde micidiali falcia via le nostre vite senza pietà.
Ma oggi, Signore del meteo, ti siamo riconoscenti.
Abbraccia per noi il vento gelido.
E invia la nostra devozione alle nuvole più scure e tetre.
Nonché alla pioggia più incessante.
E al freddo, sì, a quel maledetto freddo, che oggi si fa al contrario benedetto.
Non siamo salvi.
Forse non lo saremo mai.
Tuttavia, almeno oggi, abbiamo qualcuno al nostro fianco.
Caro, amato, maltempo.
Chi l’avrebbe detto che saresti stato tu.
L’amico più umano che avremmo incontrato alla fine del viaggio...



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giovedì 10 gennaio 2019

La rete del mondo

C’era una volta il 50% della popolazione, quella connessa a internet.
E c’era una volta l’altra metà, quella rimasta fuori dal regno digitale.
Secondo gli esperti, a meno di importanti investimenti nelle infrastrutture, l’istruzione e la formazione nei prossimi anni, tale divario è destinato a crescere.
È indubbio che andrebbe fatto qualcosa a riguardo.
Tuttavia, in un brevissimo racconto come questo, lasciate che si palesi una provocatoria riflessione tramite una successione di domande.



Più di tre miliardi di persone hanno la possibilità di collegarsi a un dispositivo elettronico e attraverso quest’ultimo entrare in contatto con tutti coloro che in tempo reale abbiano fatto lo stesso.
Ma siamo sicuri che le rimanenti miliardi di vite siano più distanti tra loro?
Agli abitanti di metropoli super affollate e delle regioni del mondo più industrializzate è sufficiente un clic del mouse per interagire con un numero impressionante di immagini.
Tuttavia, siamo davvero convinti che i loro simili, oltre i confini di cotanta fortuna, vedano di meno tra ciò che valga la pena guardare?
È indiscutibile che la parte più privilegiata dell’umanità in quanto a mezzi e qualità di vita ha il dono di poter ridurre al secondo i gradi di separazione con il prossimo, ovunque esso si trovi.
Nondimeno, è questo il mezzo migliore per stringere amicizie che superino la falce del tempo e l’onere delle difficoltà quotidiane?
Ovvero, sono tutti soli e privi di affetti, gli abitanti condannati a vivere senza banda larga?
E, alla fine della fiera, a che ci serve essere rete, se non sappiamo e non vogliamo usarla per aiutare chi da lontano viene a chiederci aiuto?

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giovedì 13 dicembre 2018

Sposiamoci di corsa

Sposiamoci.
Di corsa, amiamoci.
Fai in fretta, amor mio.
Non perdiamo tempo in preamboli, per quanto santi.
Tralasciamo ornamenti e festoni.
Non indugiamo oltre il minimo concesso nella scelta dell’abito.
E del luogo.
Del dopo.
E del subito prima...


storie vere amore
Priscilla Cicconi e Bianca Gama sono state costrette a sposarsi di fretta in Brasile prima della salita al potere del leader di estrema destra Bolsonaro
Acceleriamo allo spasimo il giorno meraviglioso.
Che sì, meriterebbe tutto il tempo del mondo.
Ma che noi non abbiamo.
Non più, nella terra dei colori impossibili e delle diversità spontanee.
Dì semplicemente sì, mia amata.
Anche solo un favorevole mormorio sarà sufficiente.
Prima che il giorno finisca.
Prima che inizi la notte.
Di inquietanti governi e governanti…


Jair Bolsonaro
Jair Bolsonaro

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giovedì 6 dicembre 2018

Perché faccio quello che faccio

Joseph Jackson è stato detenuto in una prigione nel Maine per due decenni.
Ora coordina la Maine Prisoner Advocacy Coalition (MPAC), un'organizzazione di base che interloquisce con il dipartimento correzionale dello stato per conto dei detenuti e delle loro famiglie. Quando gli chiedono perché è così appassionato nel trasformare il sistema che lo ha tenuto prigioniero, Joseph risponde sempre allo stesso modo: non posso andarmene e lasciare le persone che ho avuto accanto per 20 anni in uno stato di perenne paura e tortura senza fine.




Faccio questo lavoro perché anni di studi mi hanno permesso di dare un senso al mondo insondabile che ho vissuto. È un mondo in cui l'abuso è implacabile. Sfida la comprensione. Gli studi liberali mi hanno aiutato a vedere che il tempo là dentro non è l'unica punizione imposta ai criminali condannati. La credenza culturale predominante a cui tutti siamo soggetti è che una volta che si commette un errore, è necessario pagarlo per sempre. Ogni frase, quindi, dura tutta la vita. La nostra realtà inespressa è che la maggioranza di coloro che imprigioniamo è socialmente distrutta. Spesso perdono tutto: le loro case, i loro averi, i loro posti di lavoro, i loro partner, il sostegno delle loro famiglie.

“Per sistemare il nostro sistema danneggiato”, ha aggiunto Joseph, “dobbiamo tornare alle politiche progressiste del passato.”

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giovedì 29 novembre 2018

Ci siamo fidati di questo paese

Sabika SheikhCi siamo fidati di questo paese più di quanto avremmo dovuto fare.
Queste sono le parole di chi resta.
Di chi piange il ricordo e soprattutto la tragica e quanto mai prematura fine di Sabika Sheikh, morta a soli 17 anni.
Ovvero, una delle vittime del massacro compiuto nello scorso maggio in una scuola di Santa Fe, in Texas.
Ci siamo fidati di questo paese, sembra ripetere l’accorato lamento dei parenti della giovane ragazza.
Di quel che si ammira da lontano e si può sognare ogni giorno più vicino.
Del luogo ideale dove mandare la propria promessa migliore a crescere e realizzare se stessa.

Sabika Sheikh padre
Sabika era negli USA per uno scambio culturale.
Uno dei motivi più affascinanti e virtuosi per viaggiare e incontrare l’altro.
Per condividere al contempo tradizioni e sentimenti, emozioni e orizzonti.
Scoprendo in ogni istante che passa che questi ultimi non sono poi così diversi, malgrado quel che racconti la geografia, i suoi confini e soprattutto i loro ottusi difensori.
Al contrario, nel fiore della propria vita, Sabika ha conosciuto la più terribile tra le culture.
Quella della violenza delle armi.
In altre parole, ciò di cui si fidano i vigliacchi e i folli...

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giovedì 22 novembre 2018

Attentato a Piazza San Marco

C’era una volta un bambino di quattro anni.
E c’era anche suo padre con lui.
Quindi complice, diciamolo.
C’era una volta altresì un paese dal governo giallo verde.
Da un lato, giallo di imbarazzo per la vergognosa alleanza e, dall’altro, verde di rabbia a prescindere, a seconda dell’utile nemico del momento.
C’era una volta una nazione costruita sull’illegalità, sulla mancanza di rispetto per l’ambiente e per le sue naturali regole, per non parlare di quelle relative alla civile protezione dei cittadini.
Ma tanto, poi, è tutta colpa del maltempo.
Nondimeno, c’era una volta un bimbo, si diceva.
Una creatura di soli quattro anni di vita.
Un innocente fino a prova contraria, nelle vesti di un reato degno di severa ed esemplare punizione.
Osare calpestare il sacro suolo di Venezia, nell’illustre porzione di piazza San Marco, con una minuscola moto elettrica.
Un giocattolo, d’accordo, ma pur sempre un imperdonabile affronto.
Sessantasei euro e ottantotto centesimi, la meritata multa per il piccolo finito sulla via della perdizione.
C’era una volta una paradossale farsa chiamata Repubblica fondata sulle contraddizioni, più che sul lavoro.
Dove lo Stato si accanisce contro i più deboli, chiudendo occhi e coscienza innanzi a marrani e imbroglioni al sicuro dall’acqua alta...

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giovedì 8 novembre 2018

Quando la memoria si difende

C’era una volta il primo eroe del popolo di Jugoslavia.
Di gente e nazioni ormai ex, sulla carta.
Che andrebbe scritta, nelle pagine seguenti, giammai rivista.
C’era una volta Rade Končar, il partigiano Rade, il giovane Končar.
L’uomo che dopo aver speso adolescenza e sogni in nome di un’ideale di libertà e diritti per tutti, divenne simbolo, capitolo di storia e, quindi, statua.
A eterno e solenne monito degli eredi di cotanto doveroso impegno contro i nostalgici dell’odio legalizzato.
Il quale non dovrebbe retrocedere neppure di un sol centimetro, men che meno abbassar capo e guardia.
C’era una volta, oggi, un vecchio di sessantacinque anni.
Un folle, forse, un segno, magari.
Un’ulteriore prova dell’urgenza di una resistenza a oltranza.
Un disgraziato che asseconda il proprio delirio e prende a calci la testimonianza nobile dell’oscuro passato.
Ebbene, la storia vuole che a Spalato sia la statua stessa a crollare sul marrano, spezzandogli una gamba.
Perché la memoria, quando vuole, sa difendersi.
Ma ha bisogno, più che mai di questi tempi, di ogni aiuto possibile.

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giovedì 11 ottobre 2018

Denunciare gli insegnanti nemici

Il partito di estrema destra Alternativa per la Germania ha dato il via a un’iniziativa inquietante.
Gli studenti tedeschi sono incoraggiati a denunciare gli insegnanti che esprimano opinioni politiche attraverso il portale online Scuole Neutrali, progetto pilota ad Amburgo, con piani per lo sviluppo del programma in tutto il paese.
Gli alunni potranno inviare reclami anonimi sul sito in merito a docenti che, a loro avviso, stiano infrangendo le regole di neutralità criticando il partito in questione.

Come dire...
Perché il partito in questione non può esser criticato.
Perché il partito in questione è il partito del popolo e il popolo ha sempre ragione, altro che 'capo ufficio'.
Perché chi osi criticare il partito del popolo è contro lo Stato e il popolo stesso.
Perché chi è contro il popolo stesso, è contro lo Stato e il partito del popolo.
Ecco perché chi è contro il partito del popolo non è solo un nemico del partito, ma anche tuo, di tutti.
Perché chi è nemico di tutti va segnalato.
Anche per via anonima.
Soprattutto anonima, magari con un bel nickname privo di senso.
Ma indicando nome e cognome del marrano.
Possibilmente indirizzo e altri dati sensibili.
Affinché i nemici del partito del popolo vengano acciuffati e tolti di mezzo.

Non vi ricorda qualcosa?
E non mi riferisco solo al passato...

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giovedì 13 settembre 2018

Il castigo per Harper Nielsen è un onore

C’era una volta il posto dove rimaner seduti.
Quando tutti gridano e blaterano folli stupidaggini e ottuse bugie.
Anche se dovessero nascondere il proprio senso di colpa sotto una canzone popolare.
Come potrebbe essere un inno nazionale.
C'erano una volta coloro che in passato hanno percorso la parte scomoda della via.
Quando tutti stavano marciando sul rassicurante sentiero obbligato.
Anche qualora comportasse camminare sulla vita e il mancato futuro delle loro vittime.
Come la vacillante memoria di molti governi colonialisti.
C'erano una volta le persone coraggiose che compiono ancora quella scelta.
Mentre politici poveri di intelletto e impauriti insegnanti cercano di proteggere la propria vergogna usando il loro potere.
Anche avvalendosi di ogni sforzo.
Come molti hanno fatto prima di loro.
C'era una volta in Australia una bambina di nove anni di nome Harper Nielsen, che si rifiutò di alzarsi in piedi e cantare le nazionali rime, protestando in nome del popolo indigeno e pagando le conseguenze della propria decisione con il castigo a scuola.
Grazie per il tuo esempio, giovane quanto nobile creatura.

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venerdì 13 luglio 2018

Lalu Muhammad Zohri: il campione senza scarpe

C'era una volta un sognatore.
Un ragazzo che difficilmente avrebbe potuto immaginare di comprarsi un paio di scarpe da corsa.
Una creatura la cui anima stava andando così veloce da superare tutto.
I limiti del corpo e della dura realtà.
C'era una volta un campione.
Il vincitore della gara maschile dei 100 metri al campionato IAAF mondiale under 20 a Tampere in Finlandia.
C'era una volta una vita di soli diciotto anni.
Il primo indonesiano a vincere una medaglia in quel torneo.
Ma non fu il primo a sperarlo.
Non mi riferisco al podio.
O ai flash delle fotocamere.
Nemmeno all'oro brillante.
Piuttosto, c'era una volta un intero mondo di persone che meritano semplicemente la possibilità di correre.
E mostrar talenti e valore.
Sii paziente, amico mio, e molti altri tra loro arriveranno in pista...

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